Le condivisioni “sottobanco” superano quelle pubbliche sui social. Ecco perché non possiamo ignorare il lato oscuro del web.
Non si tratta del lato oscuro e negativo della social communication, bensì del suo lato nascosto. Il cosiddetto Dark Social nasce dallo scambio di informazioni e/o link attraverso canali che non posso essere tracciati con i tradizionali strumenti, come email, instant messaging, SMS. Il Dark Social prende forma quando una persona copia e incolla un contenuto o un link da un sito web, condividendolo sotto forma di messaggio privato con la propria cerchia di amici o colleghi. In questo caso la condivisione è solo tra persone realmente interessate a quel contenuto, a quel prodotto/servizio, a quell’azienda. Si tratta di interazioni dettate da specifiche ragioni e proprio per questo di grande valore.
Dati alla mano: condividiamo 3,5 volte in più un contenuto in forma “dark” piuttosto che alla luce del sole. In particolare è l’Australia che ha un traffico di clic sommersi imponente ma per lo studio sono stati monitorati anche Europa e Nord America e tutte le regioni ci portano alle stesse conclusioni.
Gli utenti che usano abitualmente canali dark sono il 93% degli utenti attivi mondiali: praticamente la totalità di noi usa app di instant messaging o posta diretta sui social. E percentualmente preferiamo l’utilizzo di questi canali: il 70% degli utenti condivide contenuti in modalità darkmentre solo il 20% lo fa in forma pubblica su Facebook, Twitter, Pinterest…
Sottovalutare questo fenomeno significa perdere grandi opportunità per le aziende, il dark social può essere ancora più importante per il mercato e per il marketing perché può reperire nuovi social data reali e sfruttare l’intimità della condivisione. Senza contare che questo tipo di passaggio sottobanco di contenuti è ancora più genuino.
I dati provenienti dal Dark Social forniscono un’accurata rappresentazione degli interessi e delle intenzioni dei consumatori, oltre alla possibilità di selezionare un target specifico e mirato. Per tale motivo, sarebbe opportuno raccoglierli e sfruttarli anche per le attività su owned ed earned media al fine di catturare l’attenzione dei consumatori attraverso attività in tempo reale.
Rimane aperta e per ora ignorata la questione privacy: in fondo, se condivido qualcosa privatamente, avrò le mie buone ragioni che rimanga tale, no?